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STRADE DELLA ROMA PAPALE

Piazza e via di Pasquino [1] (R. VI – Parione) (vi convergono: via di Pasquino, via di Santa Maria dell'Anima, via del Governo Vecchio, via di San Pantaleo)

 

La piazza era prima chiamata “platea Parionis”, piazza che aveva il nome del rione [2] la cui origine denominativa ci è ignota. Infatti attribuire alla “paries”, rinvenuta negli scavi per la costruzione della Chiesa Nuova,  od agli “apparitores[3], mandatari o cursori della curia, abitanti del rione, il nome di Parione è per lo meno azzardato giacché nell’850 si diceva già “...in qua sunt parietina distructa quae vocatur Parrioni[4].

Bonificata da Cesare (100-44 a.Ch.) la “Codeta Minor” (area del palazzo Farnese e dintorni) e costruito il teatro di Pompeo (107-48 a.Ch.), la vita di Roma pulsò sotto il suo portico diPompeo [5] e, più tardi, nello stadio di Domiziano.

Piazza in Agone e, nel rinascimento, “Campo dei Fiori” furono si può dire, i fori dell’Urbe, mentre attraverso la via Majior o Papalis, la platea Parionis, la via Parionis (ora via del Governo Vecchio), passavano i cortei pontifici e dei cardinali che abitavano numerosi nel rione [6].

Era il luogo di ritrovo della borghesia della cultura [7], dei Lettori del vicino Archiginnasio, i quali spesso dimenticavano la gravità dottorale per commentare con  l’arguzia,  caratteristica  romana,  gli  avvenimenti;  di prelati  tondi  e  ben pasciuti..., di maestri di casa, di ambasciatori, cardinali, principotti, che porgevano l’orecchio ad ogni bisbiglio segreto; di mercanti ed uomini d’affari, di curiali, procuratori, notari, copisti, i quali, con le loro chiacchiere e maldicenze, spesso sollevavano l'indignazione della Curia[8].

La Piazza cambiò il nome di Parione quando Francesco Orsini, nel ricostruire la torre del palazzo (ora Braschi) del duca di Gravina, trovò, sull’angolo prospiciente il Circo Agonale [9], una statua mutila, creduta quella di Menelao che sostiene e difende il corpo di Patroclo [10]. La statua, che era sotto le fondamenta della torre degli Orsini, venne alla luce perché: “essendo in questo tempo in Roma Antonio di Monte, cardinale di Santa Prassede, volle che il medesimo (Antonio da Sangallo 1455-434) gli facesse il palazzo dove poi abitò, che risponde nella piazza, dove fabbricò una torre: la quale con bellissimo componimento di pilastri et finestre dal primo ordine fino al terzo, con grazia e con disegno gli fu da Antonio ordinata et finita et per Francesco dell'Indaco lavorata di terretta a figure e storie, dalla banda di dentro e di fuore”.

La statua, posta all’angolo del palazzo sulla platea Parionis, fu dal popolo chiamata Pasquino, nome di un sarto che aveva, fino ad allora, tenuto bottega sulla Piazza e che del suo negozio aveva fatto il convegno degli oziosi e maldicenti, così che “di Pasquino” finì per chiamarsi anche la piazza.

Fin dal 1500, alla base della statua mutila, che fu meglio collocata poi (come diceva un’epigrafe [11]) dal cardinale Oliverio Carafa “cominciarono ad apparire satire pungenti e aneddoti scandalosi, che nel biasimo e nel ridicolo coinvolgevano papi e prelati, principi e condottieri, cortigiane e gentildonne d'alto lignaggio”.

Cominciò a beneficiarne Alessandro VI (Rodrigo Borgia - 1492-1503) che poteva fornire giusti spunti alla critica di Pasquino, che per il giubileo di quell’anno scrisse:

“Mentre Alessandro agli uomini
Schiude del ciel la via
Con stragi e con infamie
All’Erebo (inferno) si avvia”.

Ormai non ci sarà più avvenimento che non sia commentato da Pasquino: nomina, regno, morte del pontefice, saranno i fatti che maggiormente stimoleranno la musa Pasquinesca e durante la Sede vacante si rivolgerà ai cardinali elettori pregandoli:

Di non farlo giovin tanto
Che ci campi un anno santo [12]
Ma che ad altri ceda il loco
Dopo aver campato poco”.

L’argomento della longevità, per Pasquino, è proprio un chiodo fisso, giacché anche quando il pontefice era benvoluto, come lo fu Benedetto XIV (Prospero Lorenzo Lambertini - 1740-1758), Pasquino nel comporre l’epitaffio disse:

“Qui giace Lambertini di Bologna
Che visse e scrisse più che non bisogna”.

e questo nonostante la mezza lode che egli aveva tributato appena morto:

“In vita e in morte egli ebbe questa sorte
Che di lui non si disse bene in vita,
E di lui mal dir non puossi in morte”.

mentre in effetti, di lui vivo aveva detto:

Ecco il Papa che a Roma si conviene:
Di fede ne possiede quanto basta;
Manda avanti gli affari della casta
E sa pigliare il mondo come viene”.

E non è poco per un Papa che regnò 17 anni, 8 mesi e 16 giorni.

Ed infatti per l’elezione che ne seguì, S. Pietro, rivolgendosi allo Spirito Santo, dopo alcune considerazioni dice:

“Oh buon Gesù qual mai conclave è questo,
Che di rape e cocuzze tiene un misto...
Il Papa qui cercare a ché m’appresto?
Chi è vecchio, chi è superbo e chi l’è tristo,
Chi stolto pazzo e chi scaltrito e lesto.
Come il vicario ho da ritrovar di Cristo?”.[13]

Dal ‘500 nelle nuove case presso Pasquino presero alloggio specialmente Procuratori addetti agli uffici della Curia, scrittori apostolici, notari, avvocati, prelati, ed infine scrivani e copisti, e con i copisti [14] stavano i maestri di scrivere pe’ fanciulli[15].

Adesso pure Pasquino protesta contro questi copisti, i quali spesso gli affiggevano i loro componimenti poetici:
Me miserum! Copista etiam mihi carmina figit, Et tribuit nugas iam mihi quisque suas”.

Ma non senza rischi e pericoli si potevano fare tali affissioni: “8 gennaio 1558 - Passino da Giusti, servitore del cardinale Farnese, havendoli trovato tra le sue scritture un libro di Pasquino raccolti nella sede vacante di Paolo III, Giulio III e Marcello II, per tal cosa inquisito, fu condannato a stare in pubblico, dove fosse gran concorso di gente, con due libri legati al collo in mezzo a due birri, con un foglio attaccato al petto il quale diceva: “Per sonetti Pasquini et libelli famosi. E così ieri mattina alla porta di S. Celso si ebbe quello spettacolo, che piacque ad ognuno che lo vide, et abbruciati che furono quei due libri, lo ricondussero in carcere”.

“1604 - fu tagliata la testa al marchese Manzoli per aver fatto Pasquinate”.

"1635 - fu tagliata la testa a tal Roberto Fedele per aver fatto Pasquinate ecc. ecc. ecc."

Da un lato della statua, riprodotta in una stampa del XVII secolo, era una tabella di pietra: “Vivere qui sancte cupitis – discedite Roma – omnia cum liceant – non licet esse bonum”.

E murata nel palazzo, a destra e a sinistra della statua, altre tabelle: “Pazzia, Sapienza - io dico altri fanno - Non dir male se vuoi vivere a corte – Ve’ come sto per cantar un poco il ver? - Che guardi, tu che leggi o babbuino? Non vedi che son io Maestro Pasquino?”.

Risulta che alla statua, fin dal principio, anzi si dice dal 1501, durante una certa processione [18], facessero ala, in una sosta, i Canonici di S. Lorenzo e Damaso, che si sedevano lì presso, su alcuni sedili, che per l’occasione si ricoprivano di tappeti pregiati.
Dai sedili si passò ad “apparare” anche Pasquino che fu rivestito di ricchi indumenti, che lo trasformarono quando in una figura mitologica, e spesso in un personaggio contemporaneo.

La cerimonia assunse col tempo la forma dell’accademia, perché poeti, più o meno spontanei, presero l’abitudine di recitare avanti a lui i propri componimenti o in latino o in vernacolo e di affiggerli alla statua, da dove tolti poi venivano mandati ai copisti.

Il primo volumetto della raccolta, pervenutoci del 1509, ci dà notizia della statua” trunca, mutilave cruribus, brachiis ac naso” ma non dice della sua identità col sarto, afferma invece che essa prese il nome di un “magister scholae” che abitava sul posto incontro. “...contra illam liberator seu magister ludi, cui Pasquino Pasquillove erat nomen, habitabat, unde postea statuae nomen inditum est”.

Ma che menasse nerbate da alzare il pelo, lo prova un poeta di quel tempo che scrisse:

“Ecci un maestro Pasquille in Parione:
dal sasso spinse el so nemico in ario:
questo è collui che extinse Gerione......”.

In un libro del 1667 su ”Roma Nova”, di Sprenger, è detto che “truncus ad Caraphae palatium positus [19], habet comitiales duos, unum Facchinum in via Lata, alterum dictum Marforium in Capitolio” e così assegna le incombenze: “Pasquinum nobilibus, Marforium civibus, Fachinum plebi destinant”.

Alla statua di Pasquino non sfuggì neppure l’occupazione francese di Roma nel 1798, in occasione della quale scrisse:

“Ah canaiaccia porca, birbi indegni
che l’assemblea de merda componete,
che v’acchiappi er malanno a quanti sete
e a chi v’attizza a assassinà li Regni”

E ancora :

Livia diè all’impero
Un mostro e fu Tiberio.
Agrippina, Nerone;
Letizia Napoleone.
Fra li germi infelici
Di queste meretrici
Saper si desia
Il pessimo qual sia.
Il problema elegante
Si scioglie in un istante
Del terno, il più briccone
Cert’è Napoleone.

Cantava il popolino di Roma : “Me so’ fatto un cortello genovese che ce sbuco le porte delle case... figurate ‘na panza d’un francese”.

Nell’area già occupata dalle case dei Gottifredi [16] fu edificata sulla piazza, nel 1692, la chiesa della Natività di Gesù Cristo, dall’Arciconfraternita degli Agonizzanti [17], istituita nel 1616 nella chiesa di Sant’Agostino, da dove passò alla Maddalena, a San Bernardo al Foro Traiano, a Santa Maria a Campo Carleo, San Salvatore in Primicerio, Santa Lucia della Tinta e a S. Girolamo degli Schiavoni, ove rimase fino all’epoca in cui poté edificarsi questa chiesa di piazza Pasquino.

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[1] )            La via Pasquino che dalla piazza omonima conduce a piazza Navona, fu allargata nel ‘500 ed i maestri delle strade imposero una tassa ai proprietari frontisti e a quelli residenti in piazza Pasquino e in via dell’Anima che fu “drizzata”.

[2] )            Fu pure detto « Parrio o S. Laurentus in Damaso ».

[3] )            Il nome di “apparitores” dato dai romani ai messi ed alle guardie del corpo: "apparitores Regi", venne nell’alto medioevo traslato ai mandatari o cursori della curia.

[4] )            Come VI regione è nominata la prima volta in uno strumento notarile del 1378, sotto Urbano VI (Bartolomeo Prignano - 1378-1389).

[5] )            Nel portico di Pompeo era stato incluso il “porticus duplex corynthia Gn. Octavis” che era stato edificato da Gneo Ottavio, il vincitore della flotta di Perseo, re di Macedonia, nella battaglia del 168 a.C. In seguito all’incendio del 33 a.Ch. tutto l’edificio fu restaurato da Augusto che vi pose i trofei portati via dalla Dalmazia. Il portico prese il nome dalla sorella Ottavia, come quelli prossimi al Foro Olitorio e si dissero "corinthia” per indicarne lo stile dei capitelli corinzi, di bronzo, forse i primi di tal genere introdotti in Roma. Se ne conosce la posizione esatta, ma sembra che Pompeo avesse incluso il vecchio nel nuovo e che Augusto li avesse fusi insieme costruendo alla testata, verso il teatro, l’arco quadrifronte.

[6] )            A scapito di Campo dei Fiori.

[7] )            Preminentemente presso i liberali-editori, che abbondavano nel rione, avvenivano tali convegni. Librai “che con le loro mostre prolungate fuori delle botteghe, fermavano l'attenzione e i passi dei viandanti”.
Ad signum Aquilae nigrae”; “ad signum Navis” ecc. e poi “alla Luna”; “all’Ancora”; “alla Salamandra” ecc. s’intitolavano i loro negozi, che, fino al XVIII secolo, al pari degli  altri negozianti, non avevano né vetrine né nome, ma un’insegna di legno o di ferro verniciata. Era il "signum” dell’antico uso Romano, che nel medioevo aveva sostituito, per le case, la mancanza di numerazione civica e spesso della nomenclatura stradale e per gli usi censuari: Come nell’antica Roma si diceva “ad usum pileatum”; “a quinque pernis”; “a septem Caesaris”; per indicare una località, così nel primo Medio Evo il “signum” rivelava l’ubicazione di un edificio. Tale uso restò fino al 700 per i negozi, che invece del nome della ditta, appesero, come dice il Silvagni “cappelli rossi da cardinali e berrette nere da preti, enormi mani rosse e nere per indicare in guantai, i berrettinai e i cappellai; galli, sparvieri, aquile, soli, orsi, indicavano gli alberghi; un piede ed un braccio da cui spicciava sangue un flebotomo; un bacile d’ottone, un barbiere; una serpe indicava un farmacista; una frasca, 1’osteria; uno svizzero del Papa, un trinarolo (coloro che riducono l’oro in lamina o foglia per filare o per dorare)
; un turco con la pipa, un tabaccaio; una cornetta, la posta dei cavalli; un paio di forbici, un sarto; un drappo di lana turchina, un mercante; e così via”.

[8] )            Nei primi 20 anni del ‘500, sui 24 cardinali di curia, oltre il Carafa, morto nel 1511, altri sette abitarono nel rione.

[9] )            Ad angolo tra via di Santa Agnese in Agone e via dell’Anima, annesso al convento di Santa Agnese, v’era il palazzo di Gaspare Rivaldi con torre che fu venduto ai Pamphili nel 1654. Fu abbattuto per il collegio che fu unito alla chiesa.

[10] )           Nel gennaio 1870, scavandosi da questa parte, si trovò un avanzo di muraglia ritenuta l'ingresso dello Stadium di Domiziano.

[11] )           Fu  posta  sotto la  statua: “Oliverii Caraffa  –  Beneficio Hoc Sum  –  Anno Salutis    M.D.I.”. L’altra epigrafe, che era stata messa sopra Pasquino dal cardinale del Monte, stava a ricordare il sacco del 1527 e l’inondazione del Tevere, nel 1530 = “Clemens. VII. Pont. Max. – Anno. VII. – Liberationis. Flumanae – MDXXX – VII. Idus. Octob. Aeternis. Sacrae. Urbis. Cladibus. – Fatalis. Ad. Hoc. Signum. Inundatio – Tyberis. – Adiuncta. Est – Ant. Epise. Portuen. – Card. De Monte. – Pro. Documento. Perpetuo. – P.C.”, epigrafe che rimase almeno fino al 1822. Un’altra epigrafe sulla Piazza al n.71 ricorda la ricostruzione della casa nel 1541, in seguito ad incendio.

[12] )           Periodo di 25 anni troppo lungo!

[13] )           Dal 1770 al 1825, la satira-pasquinata ebbe forma nei “Setacci”, componimenti che prendevano di mira i cardinali “eligibili” al soglio pontificio, nelle “Mascherate” che illustravano vizi ed abitudini di persone con allegorie feroci ed oscene e nelle “Gallerie” che diffamavano, in modo malvagio cavalieri e nobili dame.

[14] )           A piazza Pasquino fu pure stampata la prima guida di Roma  in lingua straniera e cioè in “idiomate germanico” (XVII sec.) a cura di Maurizio Bona, che la dedicò alla famiglia Fugger.

[15] )           Nel censimento del 1526: “somma de case habitate nel rion Parione novecento et tredece, somma de bocche nel rione seimila trecento et diciannove”. E di librari ne enumera 24, mentre in quello di Leone X se ne erano rilevati cinque soltanto e nel vicino rione di Ponte, pur nel 1526, non ce ne erano che due.

[16] )           Questa famiglia ebbe il protettorato della chiesa di Santa Agnese in Agone antica e uno Stefano ne fu rettore nel 1480. Giovanni fu nel 1362 uno dei riformatori della Roma Comunale (modifica degli statuti, con approvazione pontificia). La casa era stata edificata nel 1467 “Jacopus erexit Christi Paulisque (Paolo II) gratia”.

[17] )           Assisteva i condannati e, il giorno dell’esecuzione capitale, esponeva il Santissimo con indulgenza plenaria per i visitatori della chiesa. Le generalità e il delitto erano specificate sotto il cartellino che, sulla porta della chiesa, invitava ad entrare. Se si prolungava l’esposizione del Santissimo significava l’ostinata impenitenza del condannato. Se il corteo della giustizia passava avanti alla chiesa, il morituro vi entrava per pregare. [N’è stato guardiano mio padre (dell’autore Giovanni Zitelli) prof. Federico Zitelli dal 1853 al 1918].

[18] )           Era la processione delle “Rogazioni” che si effettuava nel giorno di S. Marco e cioè il 25 aprile “...Pasquini statua, celebratur toto fere anno, sed maxime in die S. Marci”.
L’origine romana delle “Rogazioni” furono le “Robigalia”, processione per ottenere dagli Dei il patrocinio sulle messi crescenti. Usciva dalla porta Flaminia, traversava il Tevere sul ponte Milvio e passava nella via Claudia, dov’era, al quinto miglio, un boschetto dedicato a “Robigo” Dio della brina. Vi si faceva una fermata ed il “flamen Quirinalis” offriva alla “Canicula” un cane rossigno ed una pecora e la cerimonia si concludeva con corse pedestri. Celebrandosi tale festa il 25 aprile, la Chiesa la trasformò nella ricorrenza di S. Marco, e la processione partiva presso S. Lorenzo in Lucina, recandosi sulla Flaminia cantando Kirie, salmi ed inni ecclesiastici. (Litania major).

[19] )           Disimpegnò pure  incarichi ufficiali, infatti anche sul suo piedistallo furono affissi avvisi, bandi, decreti e proclami fino a tutto l’800 e, fra gli altri, nel 1808, la protesta di Pio VII per l’occupazione francese.

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Lapidi, Edicole e Chiese :

- Piazza Pasquino
- Chiesa della Natività di Nostro Signore

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Via di Pasquino

Si vede il fianco di Palazzo Braschi con i leoni che tengono in bocca una pigna. Si tratta dell’elemento araldico degli Onesti con i quali contrasse matrimonio (Girolamo Onesti) la sorella di Pio VI, Giulia Francesca,  ai cui figli, Luigi e Romualdo, Pio VI fece assumere anche il proprio cognome, senza discendenza, Braschi-Onesti.

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